Riflessione

Parlare di servizio nella Chiesa è sempre un argomento difficile, a volte delicato, però è una necessità. Ma il servizio deve essere veramente  una diaconia: mettersi a disposizione per gli altri, superare la sfera intimistica ed egoistica della ricerca della soddisfazione personale, passando dal “per me” a “per loro e per noi”; intercedere presso il Padre non per scopi utilitaristici, ma per il bene comune, il mettersi a disposizione degli altri, dei bisogni della Chiesa, ciascuno secondo le proprie capacità e possibilità. Una esistenza diaconale spesa per i fratelli, diaconia all’uomo totale insieme agli altri della Chiesa. La Chiesa non sono le mura che delimitano uno spazio dove ci ritroviamo, siamo noi, con la nostra umanità, con i nostri problemi, con le nostre sofferenze. Se quindi noi siamo Chiesa la nostra anima, il nostro agire deve essere caratterizzato dalla disponibilità a tutto ciò che Dio, la Chiesa e l’umanità ci chiedono; l’agire non deve essere nostro ma agire come opera di Dio per e con gli altri. Quindi, come fece Mosè, dovremmo abbandonare il servizio del faraone, ovvero il nostro egoismo, e passare al servizio di Dio, preoccupandosi di rendersi utile agli altri. Il servizio non deve essere fatto solo quando ci fa comodo o, peggio, per mettersi in mostra, ma continuo, ciascuno secondo le proprie possibilità, rinunciando all’egoismo di non far nulla. Infine, deve essere organizzato e formato in modo da garantire una presenza costante e certa a tutti i bisogni e tale presenza sia preparata a rispondere a questi bisogni in modo degno ed efficace attraverso una specifica preparazione. Quindi fare servizio non è facile, ma è un bene prezioso: tutti abbiamo sperimentato come ci sia più gioia nel dare che ricevere. La gioia nel fare il servizio è l’aver dato una parte di se, del nostro tempo, delle nostre capacità, al servizio dei fratelli, della Chiesa, facendo morire il nostro egoismo e, come dice Gesù, chi non muore non vivrà.

Carlo Cipelletti

 

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